Gli abstract degli interventi

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ANTOINE ACKER, NATHALIA CAPELLINI
Train2Move, University of Turin - University of Versailles Saint-Quentin-en-Yvelines 

"From Nothing to Nowhere": Stories of Environmental Migrants in the Brazilian Amazon

This paper explores the multiple discourses that participated in constructing and deconstructing a route of environmental migrations traced by the military dictatorship in Brazil: the Transamazonian Highway, built in the early 1970s to link the Northeast to the Amazon. In our analysis, we explore how the state used a climatic crisis to attract hundreds of thousands of families towards a fantasized green paradise in the Amazon. We discuss how this propaganda dialogued with popular culture and analyze how, in the context of the rise of the rain forest as global ecological symbol, tales of abundance were deconstructed by an environmentally critical perspective, mostly expressed in literature and cinema. 

“From Nothing to Nowhere”: Storie di migranti ambientali nell’Amazzonia brasiliana

In questo intervento si esplorano i vari discorsi che hanno contribuito a costruire e decostruire la Transamazonian Highway, una via di migrazioni ambientali tracciata dalla dittatura militare brasiliana all’inizio degli anni Settanta per unire il Nord Est del Paese con l’Amazzonia. L’obiettivo è, da un lato, analizzare in che modo lo stato abbia utilizzato la crisi climatica per attrarre centinaia di migliaia di famiglie, vendendo il sogno di un paradiso verde amazzonico; dall’altro lato, comprendere come la propaganda abbia dialogato con la cultura popolare e, in un contesto che ha elevato la foresta pluviale a simbolo ecologico globale, come le favole dell’abbondanza siano state decostruite da una prospettiva critica attenta ai problemi ambientali, emersa soprattutto nella letteratura e nel cinema.

 

JONI ADAMSON
Arizona State University, USA

Dinner 2030: Food Futures

This presentation will explore the ways in which recent speculative fiction and film is representing ancient cultures, seeds and foodways, multispecies rights, intergenerational justice and our food futures. I will briefly introduce the growing movement alternatively known as the “local foods,” “food justice,” or “food sovereignty movement.” I’ll define “speculative fiction,” noting why this genre is particularly well suited to ecocritical exploration of the tensions between the benefits and consequences of increasingly industrialized food systems. Through a close readings of the films Cloud Atlas (The Wachowskis and Tom Tykwer, Dirs. 2012) and an earlier film it references, Soylent Green (Richard O. Fleischer, Dir. 1973), and the novel, WindUp Girl (Paolo Bachigalupi, 2015), I will explore how speculative fiction profitably suggests a concept that indigenous groups have termed the “ancient future.” This is the notion that place-based, agro-ecological knowledges, developed over the course of the Holocene, can help innovate future-oriented food systems that offer contemporary peoples models for how to achieve food sovereignty in a rapidly, environmentally changing world.  I will offer examples of real communities engaging these practices, then examine how these films and literary works offer speculative “anthroposcenarios,” or tools, for thinking about turning points, options, and alternatives.  Readers and audiences could, if they chose, engage speculative food fictions and films to rethink where they are going, and/or to imagine and work towards an “ancient future” in which people enter into just, intergenerational relationships with plants, seeds, and foodways.  Such anthroposcenarios might profitably be engaged to avoid the increasingly dystopic and narrowing choices depicted in the speculative work of the Wachowskis, Tykwer, and Bacigalupi. 

Cena 2030: Futuri alimentari

Questo intervento si propone di analizzare in che modo alcuni film e speculative fiction recenti rappresentino le culture antiche, le sementi e le pratiche alimentari, i diritti multispecie, la giustizia intergenerazionale e il futuro del cibo. Si introdurrà brevemente il crescente movimento conosciuto come “movimento dei cibi locali”, “della giustizia alimentare” o “della sovranità alimentare”. Si darà una definizione di “speculative fiction”, sottolineando perché questo genere appare particolarmente adatto all’esplorazione ecocritica delle tensioni tra i benefici e le conseguenze nei sistemi alimentari sempre più industrializzati. Prendendo in considerazione film come Cloud Atlas (diretto dalle sorelle Wachowski e Tom Tykwer, 2012) e Soylent Green (diretto da Richard O. Fleischer, 1973) e il romanzo WindUp Girl (Paolo Bacigalupi, 2015), si analizzerà in che modo la speculative fiction arrivi a suggerire quello che molti gruppi indigeni hanno definito “il futuro antico”. Si tratta di un concetto per cui le conoscenze agro-ecologiche radicate nel territorio e sviluppate nel corso dell’Olocene possono essere utili a implementare sistemi alimentari innovativi, capaci di offrire modelli di sovranità alimentare in un mondo di repentini cambiamenti ambientali. Dopo aver proposto alcuni esempi di comunità che hanno adottato queste pratiche, si dimostrerà come le opere letterarie e i film citati offrano gli strumenti o gli “antroposcenari” speculativi per pensare a buove opzioni e alternative. I lettori e gli spettatori, infatti, possono sfruttare la speculative fiction e i film sul cibo per ripensare alla direzione intrapresa e/o per immaginare un “futuro antico” in cui le persone coltivano relazioni intergenerazionali con le piante, le sementi e le pratiche alimentari. Questi “antroposcenari” potrebbero essere utilizzati efficacemente per evitare di compiere le scelte obbligate e sempre più distopiche descritte nelle opere delle Wachowski, di Tykwer e di Bacigalupi.

 

AURELIO ANGELINI
University of Palermo

L’emigrazione come adattamento ai cambiamenti climatici

I disastri ambientali spingono sempre più un numero di individui a trovare scampo attraverso la migrazione, così come avviene da tempo per altri fattori di spinta che riguardano le problematiche economiche, politiche e sociali delle diverse regioni del mondo, ed in particolare, in quelle aree del mondo caratterizzate da povertà, fame, mancanza di lavoro o lavoro ridotto a schiavitù, carestie, guerre, sovrappopolazione,  regimi oppressivi e persecuzioni delle minoranze.
Viviamo nella prima era geologica in cui una sola specie, l’homo sapiens, governa l’evoluzione e modifica in modo radicale il ciclo dell’acqua, del carbonio, la concentrazione dell’ozono e quella del piombo. L’uomo è abbastanza tecnologico da modificare il pianeta, ma non abbastanza saggio da pilotare il cambiamento: buona parte delle modifiche minacciano il futuro dell’umanità. La minaccia più grave viene dal clima. La quantità di gas serra emessi dall’uomo ha superato i livelli dell’intero Quaternario e se il riscaldamento globale potrebbe arrivare a 5 gradi centigradi entro la fine del ventunesimo secolo, come prevedono i calcoli dell’IPCC, con la conseguenza che il livello delle acque si alzerà di circa 7 metri, come 100 mila  anni fa, e sommergerà gran parte delle aree abitate e più di 1 miliardo di persone saranno costrette a migrare. Il Global Risks Report 2017 (XII ed,) del World Economic Forum, pone al primo posto i “rischi” prodotti dal global warring e  sottolinea che surriscaldamento globale  ha portato la temperature media per la prima volta a più di 1 °C al di sopra della media annuale dell’era preindustriale, generando nel 2015 l’emigrazione di ben 60 milioni di persone, corrispondenti alla popolazione dell’Italia.

Migrations as an adjustment to climate change

More and more people are forced to migrate because of environmental disasters, which add to economic, political or social causes. This happens in different areas, and in particular, in those countries characterized by poverty, hunger, lack of jobs, slavery, famines, wars, overpopulation, oppressive regimes or minorities’ persecutions.
This is the first geological era in which one species only, homo sapiens, rules evolution and deeply modifies the cycle of water and carbon, the concentration of ozone and lead. Human beings are technological enough to change the planet, but not wise enough to manage that change, so much that most of their actions threaten the future of humankind. Climate change is possibly the most significant threat. The amount of greenhouse gases produced by humans is higher than the whole Quaternary Period, while IPCC assessments have already forecast that global warming might increase of 5 degrees by the end of the XXI century. Consequently, the level of the oceans will register a rise of about 7 meters, as it was 100,000 years ago, submerging the majority of inhabited lands and forcing more than 1 billion people to migrate. The 2017 Global Risk Report (XII ed.) published by the World Economic Forum, emphasizes the urgency to face global warming “risks” since for the first time in history global warming has already caused a raise of more than 1 degree in the average temperature of the preindustrial era, eventually triggering in 2015 the migration of 60 million people, i.e. Italy’s population density.

 

MARCO ARMIERO
KTH Royal Institute of Technology, Stockholm, Sweden

Trespassing. Stories Without Borders

We are in the midst of a massive migration crisis as Europe is transforming itself into an impenetrable fortress. The times when walls were falling and barbed wires removed seem so far away. Everywhere rich nations are trying to isolate themselves from the waves of desperate people fleeing from wars, poverty, persecutions, and disruptive environmental changes. “A wall will save us”; this is the easy mantra repeated by the professionals of fear, the gardeners of the new and pernicious hate plantations. Xenophobia, racism, and nationalism are gaining terrain, breeding on a toxic narrative which redirects class conflicts towards the “outside.” According to this narrative, if in the Global North the working class is becoming poorer, this is because of immigrants and not the unequal distribution of wealth, the attack against workers’ rights, and the neo-liberal erosion of the welfare state. When hard times come, having an “other” to blame has always been a handy resource in order to preserve the privilege of the few. The rise of terrorism has even aggravated this situation with a continuous overlapping in the public discourse of migrants and terrorists. An exotic name does all the work here; the fact that often the terrorists were born and raised in the West is easily buried under the inflammatory rhetoric of the new right-wing nationalists.
Lampedusa, Indomeni and Ventimiglia are the centers of a new geography of Europe, places which embody the fact that migration, borders, and bodies intertwine, creating a political ecology of humans’ movement and state’s control. Routes of hopes and desperation crisscross the Mediterranean; acts of violence and disobedience dot the fortified borders of Europe. The situation is not different in the United States and in Australia, where similar fears are agitated in the public discourse, deeply affecting the political agenda of those countries. A simple textual analysis of the 2016 American presidential campaign could prove beyond any reasonable doubt that migration is a keyword in the public discussion. In the face of all this, I will propose to a research agenda for an environmental history of migrations. 

Sconfinamenti. Storie senza confini

Viviamo, oggi, una crisi migratoria di massa, mentre l’Europa si trasforma in una fortezza impenetrabile. Sembrano ormai lontanissimi i tempi in cui i muri venivano abbattti e il filo spinato reciso. Ovunque, le nazioni ricche cercano di isolarsi, proteggendosi dalle ondate di persone disperate che fuggono dal disastro delle guerre, della povertà, delle persecuzioni e dei cambiamenti climatici. “Un muro ci salverà”: è questo il mantra che i professionisti della paura i coltivatori di nuove, dannose piantagioni dell’odio, continuano a ripetere. La xenofobia, il razzismo e il nazionalismo guadagnano terreno, alimentandosi con una narrazione tossica che rivolge i conflitti di classe verso l’”esterno”. Secondo questa narrazione, se nel Nord del mondo i lavoratori si impoveriscono è per colpa degli immigrati, non della distribuzione iniqua della ricchezza, degli attacchi ai diritti dei lavoratori e dell’erosione neo-liberista del welfare. Quando i tempi si fanno più difficili, avere un “altro” da incolpare è sempre il modo più comodo di preservare i privilegi di pochi. La crescita del terrorismo ha reso questa situazione ancora più drammatica, a causa della continua sovrapposizione, nel dibattito pubblico, di migranti e terroristi. Per la nuova destra nazionalista è sufficiente utilizzare un nome esotico per far dimenticare che spesso i terroristi sono nati e cresciuti in Occidente.
Lampedusa, Idomeni e Ventimiglia diventano così i centri di una nuova geografia dell’Europa, luoghi che incarnano l’intreccio tra migrazioni, confini e corpi, creando un’ecologia dei movimenti umani e del controllo degli stati. Rotte di speranza e disperazione si incrociano nel Mediterraneo, atti di violenza e disobbedienza costellano i confini fortificati dell’Europa. Lo stesso capita negli Stati Uniti e in Australia, dove paure del tutto simili agitano il dibattito pubblico, influenzando in modo consistente l’agenda politica di queste nazioni. Una semplice analisi testuale della campagna presidenziale americana del 2016 può provare, senza dubbio alcunoa, che la migrazione è diventata una parola chiave della discussione pubblica. Di fronte a tutto questo, si proporrà un’agenda di ricerca per una storia ambientale delle migrazioni.

 

ALBERTO BARACCO
University of Turin

Il pensiero ecocritico nel nuovo cinema italiano. Alcune tracce

Si è spesso opportunamente rilevato come il cinema rappresenti per la ricerca ecocritica un campo di studi particolarmente fertile, sia per le potenzialità espressive del mezzo filmico, sia per la molteplicità di prospettive che può offrire al ricercatore (Ivakhiv 2011, 2013). Conseguentemente, l’ecocritica cinematografica si è sviluppata non solo rivolgendosi a quei film direttamente incentrati su problemi e tematiche ambientali, ma dando vita anche a ricerche di carattere più generale che, secondo una prospettiva fenomenologico-ermeneutica e muovendo dal concetto di mondo filmico (Sobchack 1992, Yacavone 2014), hanno studiato i processi percettivi e interpretativi messi in atto dal mezzo cinematografico. Paradossalmente, in questo variegato e promettente scenario, sono ancora relativamente pochi gli studi che, in chiave ecocritica, hanno condotto un’analisi del cinema italiano contemporaneo e delle sue produzioni. Nel quadro della filosofia del film e, in particolare, da quella specifica prospettiva di ricerca individuata con il termine anglosassone film as philosophy (Frampton 2006, Mulhall 2008, Mullarkey 2009, 2011), il paper propone una breve ricognizione nel nuovo cinema italiano attraverso l’interpretazione del pensiero ecocritico espresso da tre opere cinematografiche degli ultimi anni: Le quattro volte (Frammartino 2010), Un giorno devi andare (Diritti 2013) e Le meraviglie (Rohrwacher 2014). L’incontro con questi tre mondi filmici offre allo spettatore l’espressione di una filosofia di vita fondata sull’antinomica concretezza di un’utopia che appare in qualche modo realizzabile.

Some traces of an ecocritical discourse in the new Italian cinema

It is often stated that because of the power offered by the filmic expression and the variety of perspectives it offers to scholars (Ivakhiv, 2011, 2013), cinema can be a very fertile field of study for ecocritical research. As a consequence, cinematic ecocriticism has always analyzed films with environmental issues, but at the same time it has also fostered research on the perceptional and interpretative processes of cinema as studied from a phenomenological-hermeneutical perspective and from the idea of a filmic world (Sobchack 1992, Yacavone 2014). So far, however, this varied and promising field has generated few ecocritical studies that analyze contemporary Italian cinema and its productions. Within the sphere of film philosophy and, more specifically, from the perspective of film as philosophy (Frampton 2006, Mulhall 2008, Mullarkey 2009, 2011), my talk aims to study the new Italian cinema through the ecocritical discourse in three recent films:  Le quattro volte (Frammartino 2010), Un giorno devi andare (Diritti 2013) and Le meraviglie (Rohrwacher 2014). Taken together, these films can express a way of life based on the antinomic concreteness of a possible utopia.

 

NADIA CAPRIOGLIO
University of Turin

La natura “colonizzata” in Valentin Rasputin e Roman Senčin. Sfruttamento economico della terra e comunità indigene nella Russia sovietica e post-sovietica 

L’intervento si propone di analizzare il contributo della letteratura russa sovietica e post-sovietica al discorso critico sulle questioni ambientali. Sono presi in esame come casi di studio i due romanzi Proščanie s Matëroj (1976, Il villaggio sommerso, 1980) di Valentin Rasputin e Zona zatoplenija (Zona di allagamento, 2015) di Roman Senčin allo scopo di verificare se e come sono cambiati i valori e le rappresentazioni culturali, in particolare rispetto al tema dello sfruttamento economico della terra e delle comunità indigene.

A “colonized” nature in Valentin Rasputin e Roman Senčin. Economic Land Exploitation and Indigeneous Communities in Soviet and Post-Soviet Russia

This paper will analyze the contribution of the soviet and post-soviet Russian literature to the critical debate around environmental issues. I will study two novels, Proščanie s Matëroj (1976, Farewell to Matyora, 1991) by Valentin Rasputin and Zona zatoplenija (Flood Zone, 2015) by Roman Senčin, in order to verify in which way they depict values and cultural representations, especially in relation to the economic exploitation of lands and indigenous communities.

 

CARMEN CONCILIO
University of Turin

The Fridge: A Migrants’ Portal to the Western World

Among the material objects that stand to symbolise our consumers’ society, the fridge plays a central role. In the imaginary of the migrant, particularly, the fridge ends up being a fetish-like object, partly fascinating partly monstrous. It might be fascinating for the amount of edible goods it contains, and it can be monstrous exactly for the same reason, for it contains too much food. It seems able to satisfy a migrant’s bulimic hunger and also to produce nausea and rejection, leading him/her to anorexia. These two extremes are revealed in migrants narratives. Anita Desai, for instance, chooses the fridge to characterize certain aspects of American society (“Winter Landscape” 2001), in her short stories as well as in her well-known novel Fasting and Feasting (1999). More recently, No Violet Bulawayo in her novel We Need New Names, seems to have followed Desai’s steps in depicting the story of a girl’s migration from hunger in Zimbabwe to a feasting off American culture. America, in particular, seems the country where the fridge, together with food, symbolises a portal to opulence as well as a disgusting and obscene monument to disillusion. Philippe Kourilsky analyses the object-fridge as a material presence in Le Temps de l’Altruisme  (2009) in today’s consumerism. The aim of this paper is to analyse its iconic value, its effects on the psychology of migrant-characters and on the discourse of resilience. 

Il frigo: la porta dei migranti verso il mondo occidentale

Tra gli oggetti materiali che incarnano la nostra società dei consumi, il frigo ricopre sicuramente un ruolo centrale. Nell’immaginario del migrante il frigo diventa una sorta di feticcio, affascinante e spaventoso allo stesso tempo. La quantità di prodotti commestibili che conserva, infatti, può renderlo affascinante, ma può diventare spaventoso proprio perché contiene troppo cibo. Il frigo sembra in grado di soddisfare la fame bulimica del/la migrante, ma anche di produrre nausea e vomito, portandolo/la all’anoressia, come emerge chiaramente dalle narrazioni di migrazione. Anita Desai, per esempio, utilizza il frigo per rappresentare alcuni aspetti della società americana (“Winter Landscape”, 2001), sia nei suoi racconti, sia nel suo famoso romanzo Fasting and Feasting (1999). Più di recente, No Violet Bulawayo, nel suo romanzo We Need New Names, sembra seguire l’esempio di Desai quando descrive la storia di migrazione di una ragazza dalla fame patita in Zimbabwe alla cultura americana dell’abbondanza. L’America, in particolare, appare come la nazione in cui il frigo, assieme al cibo, simboleggia una sorta di porta verso l’opulenza, ma anche un monumento osceno e disgustoso alla disillusione. Philippe Kourilsky analizza l’oggetto-frigo nei termini di una presenza materiale del consumismo odierno nel suo Le Temps de l’Altruisme  (2009). Questo intervento si propone di analizzare il valore iconico del frigo, ma anche i suoi effetti sulla psicologia dei personaggi migranti e sul discorso di resilienza. 

 

IRENE DE ANGELIS
University of Turin

Derek Mahon’s Homage to Gaia

Mahon’s bleak, intricately urban poetry even as early as the 1970s has always been characterized by a deep nostalgia for a return to nature, permeated by the sense of the ending of an age, historical as well as ecological. In ‘The Apotheosis of Tins’ (1975) the narrating voice is already that of garbage, multiplying monstrously as mass consumerism advances. Here Mahon clearly seems to anticipate Michael Thompson’s idea of transient goods in his 1979 Rubbish Theory, but there are infinite other nuances in his eco-poetry, which ranges from Metamorphosis in the age of technology in ‘Ovid in Tomis’ (‘Pan is dead’), to the concern about city garbage and the rejected of the world: the New York homeless (‘Alien Nation’) or the ‘poet of poverty’ Pier Paolo Pasolini, whose ‘In the refuse of the world a new world is born’ Mahon chose as the epigraph to his ‘Roman Script’ (1999). I will argue that his preoccupation for environmental issues is often intertwined with social concerns and embraces a wider political horizon.
This talk will follow the green line in Mahon’s poetry, looking at how the deep ecologist, ‘slow idealist’ is well aware of the theories of Rachel Carson, whose 1962 apocalyptic Silent Spring is mentioned in the 2005 Harbour Lights as a ‘Durable hardback’, as well as those of the self-regulating Earth system ‘Gaia’ developed by James Lovelock. I will analyze the poetic and thematic crescendo from Harbour Lights to Life on Earth (2008) and An Autumn Wind (2010), looking in particular at the sequence ‘Homage to Gaia’ or ‘Dirigibles’, where the poet advocates a return to ‘refrozen ice, / reflourishing rain forests, / the oceans back in place’. I will argue that Mahon’s 2010 collection echoes Lovelock’s most recent study The Vanishing Face of Gaia: A Final Warning: Enjoy It While You Can, because as Richard Nixon had it, ‘It is literally now or never’. 

L’omaggio a Gaia di Derek Mahon

Sin dagli anni Settanta la poesia urbana di Mahon, così tagliente e complessa, è contrassegnata dal ritorno nostalgico a una natura pervasa dalla sensazione che un’epoca – sia storica, sia ecologica – fosse giunta alla sua conclusione. In “The Apotheosis of Tins” (1975) la voce narrante è già quella degli scarti, che si moltiplicano in modo mostruoso con l’avanzare del consumismo di massa. Qui Mahon sembra anticipare l’idea dei beni transitori (“transient goods”) esposta da Michael Thompson nel suo Rubbish Theory (1979), ma ci sono infinite altre sfumature nella sua eco-poesia, che spaziano dalle metamorfosi dell’era tecnologica in “Ovid in Tomis” (“Pan is dead”), alla preoccupazione per la spazzatura urbana e gli scarti del mondo: i senzatetto di New York (“Alien Nation”) e “il poeta della povertà” Pier Paolo Pasolini, il cui “Ma nei rifiuti del mondo, nasce / un mondo nuovo” viene scelto da Mahon come epigrafe del suo “Roman Script” (1999). Con questo intervento si dimostrerà come la sua preoccupazione per i temi ambientali sia spesso intrecciata a problemi sociali e abbracci un orizzonte politico più vasto. In particolare, si seguirà il “filo verde” della poesia di Mahon, verificando quanto l’“idealista lento” dell’ecologia profonda sia a conoscenza delle teorie di Rachel Carson – il cui apocalittico Silent Spring (1962) è definito un “volume durevole” in Harbour Lights (2005) – e di quelle sviluppate da James Lovelock su “Gaia”, un sistema terreste auto-regolante. Si analizzerà inoltre il crescendo poetico e tematico da Harbour Lights a Life on Earth (2008) e An Autumn Wind (2010), osservando con attenzione “Homage to Gaia” e “Dirigibles”, in cui il poeta auspica un ritorno al “refrozen ice, / reflourishing rain forests, / the oceans back in place”. In conclusione si dimostrerà come la raccolta di Mahon del 2010 richiami lo studio più recente di Lovelock, The Vanishing Face of Gaia: A Final Warning: Enjoy It While You Can. Come sosteneva Richard Nixon: “It is literally now or never”.

 

PAOLA DELLA VALLE
University of Turin

Pacific AnthropoSceneries:  Environmental Crisis and the Notion of “Multiplicity of Belonging”

The Pacific is a region of enduring significance in global trajectories of history, politics, economy and ecology. It has always been a place of mobility and diasporas, of travels and migrations. Its geographical distinctness and the recent environmental crisis (climate change and sea-level rising) have made it an experimental laboratory of new social formations. A new concept arisen in this specific context in relation to cultural identification and place-making is that of “multiplicity of belonging”, an idea that could become a paradigm for many other regions of the present world facing environmental emergencies and massive migration flows. My paper will investigate the changing notions of development, place, community and identity within a context of mobility, especially in reaction to the environmental problems in the Pacific area, with an interdisciplinary approach drawing from studies in anthropology, ethnography, and sociology as well as the literature produced in this area. My aim is to see how the centrality given to such aspects as stability, rootedness and immobility, and to static national and regional formations could be realigned towards a novel view emphasizing the potential of mobility, flux and flow, not only in the Antipodes but in Europe and in the West in general, given the current complex geo-political events and environmental crisis.

AntropoScenari del Pacifico: la crisi ambientale e il concetto di “appartenenza multipla”

Il Pacifico è una regione di grande rilevanza nelle traiettorie globali di storia, politica, economia ed ecologia. È, da sempre, luogo di mobilità e diaspore, viaggi e migrazioni. La sua specificità geografica e la recente crisi ambientale (il cambiamento climatico e l’innalzamento del livello del mare) lo hanno trasformato in un laboratorio di nuove formazioni sociali. In questa cornice specifica e in relazione ai processi di costruzione identitaria e culturale è emerso un nuovo concetto noto con il nome di “appartenenza multipla”, un’idea che potrebbe diventare paradigmatica per molte altre regioni del mondo parimenti attraversate da emergenze ambientali e grandi flussi migratori. Adottando un approccio interdisciplinare che contempla l’antropologia, l’etnografia, la sociologia e la letteratura prodotta in quest’area, l’intervento intende studiare i concetti di sviluppo, luogo, comunità e identità in un contesto in evoluzione, proponendosi soprattutto come reazione ai problemi ambientali dell’aerea del Pacifico. L’obiettivo è comprendere in che modo la centralità riconosciuta ai concetti di stabilità, radicamento e immobilismo e a statiche formazioni nazionali e regionali possa modificarsi attraverso una visione rinnovata che dia rilievo al potenziale della mobilità e del cambiamento non solo in Australia e Nuova Zelanda ma, di fronte ai complessi eventi geo-politici attuali e alla crisi ambientale, anche in Europa e in Occidente in generale.

 

DANIELA FINOCCHI, PAOLA MARCHI
Concorso letterario nazionale Lingua Madre

Dall’Antropocene al “Ginecene”: tra cibo e letteratura, nuovi immaginari delle donne migranti

Cambiamenti climatici, depauperamento delle risorse della Terra, cibo sono temi strettamente legati alle donne ed elementi comuni tra le testimonianze al femminile – diverse per età e provenienza – che giungono ogni anno al Concorso letterario nazionale Lingua Madre, progetto permanente della Regione Piemonte e del Salone Internazionale del Libro di Torino, diretto a donne e ragazze straniere (anche di seconda o terza generazione) residenti in Italia, con una sezione per le donne italiane che vogliano “raccontare” le donne straniere.  
Le narrazioni, le storie, le esperienze di chi vi partecipa, raccolte nelle antologie Lingua Madre. Racconti di donne straniere in Italia, editi da SEB27, sono una preziosa fonte di vissuti, buone pratiche, nuovi immaginari di convivenza fondati sulla relazione, la cura dell’altro/a e del mondo, sulla dipendenza fra gli esseri umani. Immaginari che passano anche attraverso il cibo, per moltissime autrici, metafora e nutrimento del cuore, della memoria, della propria identità. Della relazione primaria, quella con la madre, carnale e/o simbolica. Riconoscere e riconoscersi nell’interdipendenza e nella relazione – non solo tra le persone, ma anche rispetto al sistema-mondo – è il primo passo per affrontare le prove del nostro presente, di cui migrazioni e cambiamenti climatici sono realtà ormai sempre più evidenti e urgenti.
La storia vivente che questi esodi pongono tutti i giorni sotto i nostri occhi è qualcosa di unico e di nuovo, soprattutto perché a esserne protagoniste sono le donne e la loro capacità di condividere, di fare comunità e guardare al mondo come a un ambiente domestico di cui prendersi cura. Dare spazio e riconoscimento a queste voci, a queste identità ibride e in continua contaminazione, significa dare valore alle innumerevoli pratiche femminili che nei luoghi più disparati del nostro pianeta cambiano la realtà e diventano da un lato catalizzatori in un percorso di personale individuazione creativa, dall’altro elementi determinanti di evoluzione collettiva. Significa aprire uno spiraglio su nuovi scenari di cambiamento e nuove prospettive per il futuro: dall’Antropocene al “Ginecene”.

From the Anthropocene to the “Ginecene”: Migrant Women’s New Imaginaries Through Food and Literature

Climate change, the reduction of Earth resources, food – all of these themes are strictly related to women. In fact, they appear in several stories written by women of various ages and nationalities for the Concorso letterario nazionale Lingua Madre, a permanent project sponsored by Regione Piemonte and Salone Internazionale del Libro di Torino. It is a contest reserved to foreign women (second or third generation too) who reside in Italy and to Italian women “narrating” foreign women. These narrations, stories, and experiences are collected in the annual anthology “Lingua Madre. Racconti di donne straniere in Italia” (SEB27) and are an important reference of past experiences, good practices, and new imaginaries of cohabitation based on human interrelationship, care for the world, and interdependency. In the writers’ mind, these imaginaries might be articulated through food, often considered as a powerful metaphor of and nourishment for their souls, memory, and identities. Moreover, they can also represent the primary, relationship with their mothers, either biological or symbolical. The great challenges of our time, like migrations and climate change, urge people to identify with a strong interdependency and interrelationship between human beings and the world-system. The living stories that these migrations narrate is a new and unique phenomenon since the very protagonists are women and their ability to share, to create a sense of community, and to look at the world as a domestic environment that needs protection. To acknowledge and give space to these voices and to these hybrid, contaminating identities means to recognize the value of the countless feminine practices that are bringing some change all over the world. This is, in short, a new way to look at the future – from the Anthropocene to the “Ginecene”.

 

EMILIANO GUARALDO
University of North Carolina – Chapel Hill

Nomadic Terroirs. Humans, Climate Change, Viticulture, and the Migration of Grape Varieties.

The history of the origins and the transformations of Vitis Vinifera is deeply rooted in the history of human civilization itself. As an evolutionary partner, and through the millennia, the Vitis Vinifera has been manipulated by humans to optimize and diversify its productive output, while at the same time, it has transformed the rituals, the diet, and even the physiological and genetic structure of humans.
Viticulture is an intricate network of human and non-human actors, and in which the interaction between the concepts of life and non-life plays also an important role. Grapes, farmers, agro-capitalism, climate change, indigenous and foreign yeasts, soils, bacteria, and even prehistorical animals, are all fundamental agents when crafting those stories that we unknowingly drink in a glass of wine.
What it means for a grape to stray away from its original landscapes? How can the terroir, meant as a system of human and non-human relations, survive the challenges imposed by anthropogenic climate change and the Anthropocene? What is the strategy for survival of grape varieties in the contemporary agro-capitalist structure of power? How can we start to shift our cultural perception of the botanical other represented by the grape? These are some of the questions that I intend to address in my work. The ultimate scope of my paper is to open up the study of wine to the current Environmental Humanities theoretical and methodological developments, as I believe that it has the potential to help us rethink the agency of agricultural and botanical subjects in the context of human / non-human networks, and of the fracture between life and non-life.

Nomadic Terroirs. Gli esseri umani, il cambiamento climatico, la viticoltura e la migrazione delle varietà di vite

La storia delle origini e delle trasformazioni della Vitis Vinifera è strettamente legata alla storia della civilizzazione umana. Come partner evolutivo attraverso i millenni, la Vitis Vinifera è stata manipolata dagli esseri umani per ottimizzare e diversificare i suoi prodotti; a sua volta, ha trasformato i rituali, la dieta e persino la struttura psicologica e genetica degli umani.
La viticoltura, infatti, è una rete intricata di attori umani e non umani, in cui l’interazione tra i concetti di vita e non-vita ricopre un ruolo significativo. Le viti, i coltivatori, l’agro-capitalismo, il cambiamento climatico, i lieviti autoctoni e stranieri, il suolo, i batteri e persino gli animali preistorici sono agenti fondamentali di quelle storie che beviamo inconsapevolmente in un bicchiere di vino.
Cosa significa per una vite allontanarsi dal proprio ambiente originale? Come può il terroir, inteso come sistema di relazioni umane e non umane, sopravvivere alle sfide imposte dal cambiamento climatico antropogenico e all’Antropocene? Quale strategia garantirà la sopravvivenza della varietà delle viti nell’attuale struttura di potere agro-capitalistica? Come possiamo iniziare a modificare la nostra percezione culturale dell’alterità botanica rappresentata dalla vite? Queste sono alcune delle domande che ci si propone di esaminare in questo intervento, con lo scopo di aprire lo studio del vino agli sviluppi teorici e metodologici delle Environmental Humanities attuali, utili a ripensare l’azione dei soggetti agricoli e botanici nel contesto delle reti umane/non umane e della frattura tra vita e non-vita.

 

PATRICIA KOTTELAT
University of Turin

La nourriture, vecteur d’une nouvelle éthique fédératrice ?

De Mai à Octobre 2015 s’est tenue à Milan l’exposition universelle EXPO 2015 avec pour thème Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita. La legacy, ou l’héritage laissé par cet événement de portée mondiale, est constituée par une Charte, la Carta di Milano, fruit d’un intense travail de collaboration entre institutions nationales et supranationales, communauté scientifique et société civile, souscrite et signée par un million de personnes. Ainsi, le thème de la nourriture trouve dans ce texte officiel une dimension inédite, s’apparentant à une mise en discours d’une nouvelle éthique. Dans la perspective linguistique et méthodologique de l’Analyse du Discours, nous nous proposons d’examiner les aspects suivants de la Carta di Milano : sa genèse et son intertexte (les Objectifs du Millénaire (2000) et le Human Development Report (2010) de l’ONU, les documents de la FAO), sa version adaptée pour les enfants La Carta di Milano dei bambini, sa constellation sémantique et son lien avec les thématiques transversales de la biodiversité, des droits de l’homme et des droits des femmes, de l’éducation. Nous soulèverons ensuite l’hypothèse que l’image de la nourriture comme vecteur d’une nouvelle éthique est moins fédératrice qu’elle ne semble et nous analyserons les dissensus soulevés par sa parution, installant une dissonance par rapport à l’image de consensus diffusée par les médias.

Il cibo come veicolo per una nuova etica federativa?

Tra maggio e ottobre 2015, Milano ha ospitato EXPO 2015 Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita. L'eredità più importante di questo evento di portata mondiale è la Carta di Milano, documento firmato da un milione di persone e frutto di un'intensa collaborazione tra organizzazioni nazionali e internazionali, la comunità scientifica e la società civile. Questo testo ufficiale disegna un ruolo completamente nuovo per il cibo e introduce una nuova etica. Tenendo conto della prospettiva linguistica e analitica proposta dall'Analisi del Discorso, l’intervento prenderà in esame la Carta di Milano e ne analizzerà: genesi e aspetti intertestuali (Obiettivi del Millennio (2000), Relazione dell'ONU sullo Sviluppo umano (2010), documenti FAO); l’edizione per ragazzi La Carta di Milano dei bambini; la costellazione semantica e il collegamento con le questioni trasversali della biodiversità, dei diritti degli uomini e delle donne, dell'istruzione. Inoltre, si avanzerà l’ipotesi che l’immagine del cibo quale veicolo di una nuova etica sia meno federativa di quanto sembri, offrendo in conclusione uno studio della critica che è circolata dopo la sua comparsa e che ha messo in discussione l’idea di ampio consenso diffuso dai media.

Food as a vehicle for a new federative ethics?

Between May and October 2015, Milan hosted EXPO 2015, Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita. The major legacy of this world event is La Carta di Milano, a document signed by a million people and written after an intense cooperation of national and international organizations, the scientific community, and the civil society. This official text designs a completely new role for food and is part of an original discourse on a new ethics. Taking into consideration the linguistic and analytical perspective proposed by Discourse Analysis, I will study La Carta di Milano by focusing on: its creation and intertexts (Millennium Goals (2000), UN Human Development Report (2010), FAO documents); its children’s edition, La Carta di Milano dei bambini; its semantic constellation and link to the transversal issues of biodiversity, men’s and women’s rights, and education. I will propose, then, that the image of food as a vehicle for a new ethics is less federative than it seems, and I will study the criticism that was moved after its appearance in contrast with the image of a vast consensus spread by the media.

 

MARIA MARGHERITA MATTIODA
University of Turin

Espaces narratifs contemporains de responsabilité environnementale : regards croisés sur les entreprises françaises

Le discours économique est omnivore dans la mesure où il se nourrit de différents types de discours qui l’ancrent dans la réalité politique et sociale. Depuis toujours économie et environnement sont associés, mais seulement récemment, suite à toute une série de propositions avancées par les organisations internationales - depuis le « Rapport Brundtland », 1987 jusqu’au PNUE, 2008, à  Rio+20, 2012 et COP) et retenues par les gouvernements (par ex. Grenelle de l’environnement en France), dans le discours des entreprises s’est installé un langage écologique détourné qui oscille entre l’engagement du discours éthique et les technicismes de la science. Plus précisément l’intégration du discours sur le développement durable dans le discours corporate, qui relève aussi bien de la prise en compte du débat public et des pressions de la société civile que d’un cadre réglementaire de plus en plus strict, se manifeste par des moyens linguistiques et textuels plus ou moins variés visant à mettre en scène une communication environnementale prise au piège du « volontarisme obligé et contraignant». Sur la base d’une analyse lexicale et sémantique des sites d’entreprises françaises appartenant à différents secteurs d’activité (agroalimentaire, mode, cosmétiques, services), nous proposons de réfléchir sur la mise en récit de l’environnement à l’intérieur des rubriques spécialement dédiées et des documents téléchargeables spécialement conçus tels que le Rapport environnemental, le Reporting RSE, le Bilan environnemental. La comparaison des différents « styles de communication environnementale » nous permettra d’avancer des hypothèses sur l’articulation du récit environnemental, du storytelling corporate et de la narration scientifique afin de mettre en lumière les convergences et les divergences dans la vision de l’environnement valorisée. 

Narrazioni contemporanee di responsabilità ambientale: imprese francesi a confronto

Il discorso economico è senza dubbio onnivoro poiché si basa su una certa varietà di tipi di discorso che lo ancorano nella realtà politica e sociale. Da sempre il connubio tra economia e ambiente è implicito nei modelli di sviluppo economico, ma solo negli ultimi decenni, grazie alle iniziative e alle proposte avanzate dalle organizzazioni internazionali – dal Rapporto Brundtland, 1987, al PNUE, 2008 e ai recenti Summit Rio+20, 2012, et COP – e recepite dall’Ue e dai vari governi nazionali (ad esempio la legge Grenelle in Francia), è apparso palese nel discorso delle imprese un linguaggio ecologico oscillante fra l’impegno etico e i tecnicismi della scienza. Più precisamente, l’integrazione del discorso sullo sviluppo sostenibile nel discorso aziendale, che è riconducibile sia all’influenza del dibattito pubblico e alle pressioni dei media e della società civile, sia a un quadro normativo più vincolante, avviene mediante l’uso di svariati strumenti linguistici e testuali che tendono a metter in scena una comunicazione ambientale imbrigliata nel “volontarismo obbligato e trasparente”. Sulla base di un’analisi lessicale e semantica di siti web di aziende francesi operanti in diversi settori (agroalimentare, moda, cosmetici, servizi), proponiamo una riflessione sulla narrazione dell’ambiente così come si articola nelle rubriche specifiche (Développement durable, RSE, Engagements) e nei documenti in esse pubblicate (Rapport environnemental, le Reporting RSE, le Bilan environnemental). Il confronto fra i vari stili di comunicazione ambientale ci permetterà di avanzare delle ipotesi sull’articolazione fra racconto ambientale, storytelling aziendale e relazione scientifica al fine di mettere in luce eventuali differenze e similitudini sulla visione ambientale valorizzata. 

Contemporary narrations of environmental responsibility: confronting French enterprises

The economic discourse is certainly omnivorous, since it is based on a great variety of discourses that ground it in the political and social reality. The bond between economics and the environment has always been implicit in the models for economic development. Just recently, thanks to all the initiatives and proposals suggested by international organizations (from the 1987 Brundtland Report, to the 2008 PNUE or the recent 2012 Summit Rio+20 and COP) and adopted by the EU and the various national governments (for instance, the Grenelle law in France), an ecological language has appeared in a clearer way in the business discourses, moving back and forth between the ethic engagement and the scientific technical terms. More precisely, the integration of the sustainable development discourse into the business one – caused by the influence of the public debate, the pressure of media and society, and a stricter legislation – happens to become an environmental communication blocked in a sort of “forced and transparent voluntarism”. Through a lexical and semantic analysis of French enterprises’ websites working in various sectors (agricultural, fashion, cosmetics, services), I will study the environmental narration as it is shown in specific sections (Développement durable, RSE, Engagements) and in their documents (Rapport environnemental, Reporting RSE, Bilan environnemental). By confronting the different styles of the environmental communication, I will suggest some hypothesis around the environmental narration, the business storytelling and the scientific relation, in order to show all the possible differences and similarities of this publicized environmental vision.

 

LUCA MERCALLI
Società Meteorologica Italiana

Crisi climatica e Antropocene: i problemi, e - forse - le soluzioni

Siamo entrati in una nuova epoca geologica, l'Antropocene. La sua caratteristica è l'impatto dell'umanità sull'ambiente globale. Quali sono i limiti fisici da non superare se vogliamo evitare il collasso degli ecosistemi e del clima? Come raggiungere consapevolezza della sfida epocale che abbiamo di fronte? Le soluzioni ci sono, dalle energie rinnovabili alla diminuzione dei rifiuti, ma ogni giorno che perdiamo rende la strada più difficile e i rischi più elevati. Dobbiamo agire, per la qualità di vita nostra e dei nostri figli e nipoti e per la sopravvivenza della nostra stessa specie.

The climate crisis and the Anthropocene: problems and (possibly) solutions

We are now in a new geological era, the Anthropocene, whose main feature is the impact of humanity on the environment. What are the physical limits that we need to respect to prevent our climate and ecosystems from collapsing? How can we reach the full awareness of the momentous challenge that we will soon need to face? Some solutions are possible – from the use of renewable energy to the reduction of waste ­– but we cannot postpone this challenge: the more we wait, the riskier our endeavor will be. We need to act right now for our children’s and grandchildren’s quality of life and for the survival of humankind.

 

PIERPAOLO MERLIN, ALICE BLYTHE RAVIOLA 
University of Turin, University of Milan

Controllo dell'acqua, sfruttamento ambientale e conflitti sociali: il caso del Piemonte moderno.

In Piemonte il processo di modernizzazione comportò il progressivo controllo delle risorse ambientali da parte dello stato, interessato soprattutto al loro sfruttamento ai fini dello sviluppo economico. Tra i beni naturali coinvolti, oltre alle campagne e alle foreste, ci furono l'acqua e i fiumi. Il case study del Po e dei suoi affluenti piemontesi si inserisce in questo contesto. Linea di confine tra territori politicamente divisi (Piemonte sabaudo e Monferrato), il Po costituiva non solo una riserva ambientale, ma anche un elemento di contesa tra stati e comunità confinanti.

Water control, environmental exploitation and social conflicts: the case of the modern Piedmont.

The process of modernization in Piedmont has progressively caused natural resources become public, because of the government’s interest in exploiting them for economic development. The countryside and the forest were among the involved natural goods, with some waters and rivers. The case study of the Po river and its Piedmontese tributaries applies to this context. In fact, the Po river, a boundary line between divided political areas (the Savoys’ Piedmont and Monferrato), was an environmental reserve and caused several fights between confining states and their communities.

 

ALESSANDRA MOLINO
University of Turin

What can Critical Discourse Analysis and Corpus Linguistics tell us about business discourses on sustainability?

The impact of human activities on the environment is a phenomenon of mounting concern due to its unprecedented force, scope and pervasiveness. Problems such as pollution, the depletion of natural resources and global warming are under scrutiny in different disciplinary areas, mainly within the Natural Sciences and Technology. A shared goal is to find ways to reduce the strain of human consumption and production on the natural world. When faced with the question of what contribution the Humanities can give to that scholarly endeavour (e.g. Sörlin 2012), one of the answers is that human sciences can help raise people's awareness of the way communication reproduces and reinforces the ideologies that underpin development projects causing pressure on the ecosystem and local communities.
In this talk, I will show how the complex relation between ideology and discourse can be explored through the lenses of Critical Discourse Analysis (CDA) (van Dijk 1998). I will also discuss how the analytical techniques of Corpus Linguistics (CL) can be fruitfully applied to critical discourse studies. To this aim, I will draw on existing literature integrating CDA and CL, and I will focus especially on studies of business communication on sustainable development. The reason for concentrating on businesses is that they are among the most powerful actors when it comes to framing dominant discourses capable of “influenc[ing] public dialog and understanding of ecological issues” (Pal and Jenkins 2014: 389). The discussion will be supported by data taken from a corpus of Sustainability Reports compiled for previous studies (Caimotto/Molino 2011; Molino 2013; Molino forthcoming). In particular, I will adopt a critical approach to the analysis of how companies conceptualize key notions related to sustainable development (e.g. energy and emissions); how they construct their identity within the framework of sustainability; and, most crucially, how they exploit the very idea of sustainable development to legitimize their practices and maintain the status quo (Laine 2010).

Cos’hanno da dire l’Analisi del discorso critico e la Linguistica dei Corpora a proposito dei discorsi commerciali sulla sostenibilità?

L’impatto delle attività umane sull’ambiente è causa di crescente preoccupazione per via dell’intensità, delle proporzioni e della pervasività che il fenomeno registra e che non ha precedenti nella storia. Problemi quali l’inquinamento, lo sfruttamento delle risorse naturali, il riscaldamento globale sono oggetto di studio di diverse discipline – soprattutto nell’ambito delle Scienze naturali e della tecnologia – che condividono l’obiettivo di trovare nuovi modi per ridurre il peso dei consumi e della produzione dell’uomo sul mondo naturale. Quale contributo possono fornire gli studi umanistici a questa impresa accademica (e.g. Sörlin 2012)? Alcuni rispondono che le scienze umane possono rendere più consapevoli delle modalità con cui la comunicazione riproduce e rinforza le ideologie che sostengono i progetti di sviluppo e causano una pressione eccessiva sull’ecosistema e sulle comunità locali.
In questo intervento si vuole mostrare come la complessa relazione tra ideologia e comunicazione possa essere esplorata attraverso l’Analisi del discorso critico (CDA) (van Dijk 1998). Si proverà, inoltre, che le tecniche analitiche proprie della Linguistica dei Corpora (CL) possono essere applicate in modo efficace agli studi del discorso critico, ripercorrendo la letteratura esistente a proposito di CDA e CL e concentrandosi in particolare sugli studi della comunicazione commerciale a proposito di sviluppo sostenibile. La scelta di focalizzare l’attenzione sul commercio deriva dal fatto che si tratta di uno degli attori più importanti per analizzare i discorsi dominanti capaci di “influenzare il dialogo pubblico e la comprensione dei problemi ecologici” (Pal and Jenkins 2014: 389). L’argomentazione sarà supportata dai dati ricavati da un corpus di report di sostenibilità redatto per studi precedenti (Caimotto/Molino 2011; Molino 2013; Molino di prossima pubblicazione). In particolare, si adotterà un approccio critico che analizzi le modalità usate dalle compagnie nella concettualizzazione di nozioni centrali dello sviluppo sostenibile (per esempio, energia e emissioni), per costruirsi un’identità all’interno dell’ambito della sostenibilità e, soprattutto, per sfruttare l’idea di sviluppo sostenibile per legittimare le proprie pratiche e mantenere lo status quo (Laine 2010). 

 

SERPIL OPPERMANN
Hacettepe University, Ankara, Turkey

The Anthropocene  Stories

In the field of the Environmental Humanities, the Anthropocene is thought as an epoch of ecological uncertainties, rather than as the epoch of the “great homogenization” of terrestrial systems and fates under the geological layer of the human or the universal anthropos relentlessly disrupting biogeochemical processes. The term Anthropocene is discussed in various ways in this field (See Parikka, K. Dean Moore, Jason Moore, Mann, Tsing, Morton, Haraway), which contribute to the scientific debates as the ecological problems are also social and cultural. In this paper, I will posit that we must find new ways of storying the Anthropocene that would encourage us to rethink the human condition, other species, our discourses and narratives, material agencies, and the Earth’s biogeochemical processes together.  One of these ways is to take into account cli-fi narratives. Another is to listen to the  distressing stories of Anthropocene agencies, such as lands, air, water, plants, animals as we do in material ecocriticism.  In my talk, I will bring these two ways together (human and nonhuman storying of the world) and show how we can read human narratives and the stories of nonhuman agencies together. My aim is to explore how the “anthropocene stories” can help us better understand extensive human interaction with geomorphic systems and enable us (as ecocritics) to actively participate in finding sustainable solutions.

Storie dell’Antropocene

Nell’ambito delle Environmental Humanities, l'Antropocene è considerata un'era di incertezza ecologica piuttosto che di "forte omogenizzazione" dei sistemi e destini terresti sotto l'etichetta geologica dell'umano o dell'antropos universale che distrugge senza posa i processi biochimici. Il termine Antropocene è stato discusso in vari modi in questo ambito (si veda Parikka, K. Dean Moore, Jason Moore, Mann, Tsing, Morton, Haraway), offrendo contributi importanti anche al dibattuto scientifico dal momento che i problemi ecologici sono anche problemi sociali e culturali. In questo intervento si insisterà sull’urgenza di trovare modi nuovi per raccontare l'Antropocene, modi che ci inducano a ripensare la condizione degli umani e delle altre specie, i dibattiti e le narrazioni, gli agenti materiali e i processi biochimici della Terra. Una prima possibilità è offerta dalla lettura della Cli-fi, ovvero la narrativa dei cambiamenti climatici; un’altra contempla le storie inquietanti degli agenti dell'Antropocene – la terra, l'aria, l'acqua, le piante, gli animali – una prassi dell'ecocritica della materia. In questo intervento, le due modalità di racconto (le narrazioni umane e non umane del mondo) saranno affrontate insieme, dimostrando come sia possibile leggere nello stesso contesto le narrazioni umane e le storie di agenti non umani. L’obiettivo è comprendere in che modo le "storie dell'Antropocene" possano aiutarci a interpretare meglio la lunga interazione umana con i sistemi geomorfici permettendo agli ecocritici una partecipazione attiva nella ricerca di soluzioni sostenibili. 

 

MARIO SALOMONE
FIMA - Federazione Italiana Media Ambientali

Oltre l’Antropocene

L’intervento prende le mosse dal numero monografico Teorie e pratiche dell'Antropocene Storia e geologia dell'impatto umano sull'ambiente della rivista scientifica Culture della sostenibilità di cui Mario Salomone è direttore.
Indipendentemente dai criteri di periodizzazione adottati per l’Antropocene, e cui si accennerà in base ai contributi pubblicati nel citato volume monografico e non solo, è evidente la necessiatà di una “uscita dall’Antropocene”. Quali “antroposcenari” per il futuro? Quali sfide affrontare perché degli antroposcenari ci siano, scongiurata la non impossibilità eventualità di una estinzione del genere umano? L’autore discute alcune alcune delle alternative all’Antropocene proposte e presenta gli elementi dovrebbero caratterizzare il dopo-Antropocene.

Beyond the Anthropocene

This paper builds on the monographic issue “Teorie e pratiche dell'Antropocene. Storia e geologia dell'impatto umano sull'ambiente” published in Culture della sostenibilità, a scientific journal directed by Mario Salomone.
Regardless of the periodization criteria proposed for the Anthropocene and proposed by the articles published in this monographic issue, I will posit the need to find an “exit from the Anthropocene”. What anthroposcenaries can we imagine for our future? What challenges do we need to face to still have an anthroposcenary and to avoid the possible extinction of humankind? I will discuss some alternatives to the Anthropocene and some wishful features of a post-Anthropocene.  

 

MASSIMO SCALIA 
University La Sapienza, Rome

I carri di Faraone al Mar Rosso: crisi capitalistica e crisi ambientale. Una “modesta proposta” verso la sostenibilità

La bolla finanziaria con le sue distruttive e perduranti conseguenze economico-sociali, la sanguinosa geopolitica del petrolio, un sesto dell’umanità al di sotto della soglia di sopravvivenza, il saccheggio sistematico delle risorse della Terra, la generale crisi dell’ambiente, drammatica per il cambiamento climatico, esemplificano in modo anche troppo convincente che le democrazie capitaliste, come gli stati totalitari che hanno scelto il libero mercato, non sono in grado di far fronte alla doppia crisi del nostro titolo. L’attuale situazione globale richiama le due pareti in cui si divise il Mar Rosso per far passare il popolo “eletto” inseguito dai carri di Faraone: da un lato si erge la crisi economica, che è tout court crisi del capitalismo,  dall’altra parte c’è la preoccupante situazione dell’ambiente. Allora è ragionevole interrogarsi se le due pareti non crolleranno giù con gravi danni, questa volta per tutti i personaggi, a meno che non venga perseguita con determinazione una “modesta proposta” del tipo di quella che cerchiamo di formulare.
L’attuale crisi del capitalismo è una crisi di sovrapproduzione, il cui carattere quantitativo, dovuto all’innovazione tecnologica nel mercato globalizzato, rende insuperabile la contraddizione tra l’aumento dell’offerta e la capacità del mercato di assorbire la domanda: quale colossale redistribuzione del reddito sarebbe necessaria per adeguare la “spendibilità” all’offerta? Né la deterrenza nucleare consente, come nelle due analoghe grandi crisi precedenti, il “ricorso” alla guerra mondiale. Che fare? La sostanziale sordità dell’Economia alla questione ambientale è di stimolo per proporre, da un lato gli elementi teorici per un “ciclo” economico che coniughi variabili economiche ed ecologiche in un modello di “stato stazionario”; dall’altro a vedere la stessa crisi ecologica come una straordinaria opportunità per cambiare da subito il modello verso un’economia sostenibile, attraverso la “rivoluzione energetica”, la green economy e il “terzo mercato”.

The Pharaoh’s chariots at the Red Sea: the crises of capitalism and of environment. A “modest proposal” towards sustainability

The economic “bubble” with its destructive and lasting economic and social consequences, the bloody geopolitics of oil, one sixth of humankind under the threshold of surviving, the systematic plunder of resources of the earth, the general environment crisis, so dramatic for climate change… these phenomena exemplify in an even too persuasive way how capitalist democracies, together with those totalitarian states that have chosen the free market economy, are not able to face the two crises of this talk’s title. The present global situation evokes the two walls of the Red Sea after splitting to allow the passage of the “chosen” people when chased by the Pharaoh’s chariots: one wall stands for the economic crisis, i.e. the capitalist crisis tout court, the other for the environmental predicament. Therefore, it seems reasonable to wonder if the two walls will tumble down provoking severe damages and involving this time all the characters in the story. And yet, a “modest proposal”, like the one that we are trying to formulate here, might change things in case it is resolutely pursued.
The present crisis of capitalism is a crisis of overproduction, whose peculiar quantitative nature – a consequence of the technological innovation in the globalized market – affects the contradiction between the increment of the offer and the market’s feasibility to absorb the demand by making it insurmountable. Hence: how gigantic would income redistribution need to be to realign spending availability and the offer? Similarly, like in the two previous great crises, nuclear deterrence would not permit a world war to be a solution of the problem. What can be done, then? The Economy’s essential deafness to the environmental crisis is a spur to propose some theoretical basis for an economic “cycle” capable to conjugate ecological and economic variables within a “steady status” model. On the other hand, it can also foster a new consideration of the ecological crisis, which may even become an extraordinary chance of immediate change through the implementation of a sustainable economy model based on the “energy revolution”, the green economy, and the “third market”.

 

ANTONELLA TARPINO 
Einaudi

Narrare il paesaggio della perdita. La memoria come ecologia

Che cosa significa perdere il proprio paesaggio? I villaggi travolti dalle cascate d’acqua delle dighe o dai fiumi di parole dei romanzi che li raccontano disegnano emblematicamente le figure limite del paesaggio fragile, quando non perduto, come orizzonte estremo di un’esperienza contemporanea dello spazio colto nel suo spingersi sempre faustianamente oltre. Lasciando indietro, nella sua fuga, i paesaggi del tempo, con le loro forme esplose sotto la pressione cristallina di acque incontinenti di una diga, o più prosaicamente a forte spopolamento, sfatti, invasi dai labirinti vegetali dei tanti borghi che si van perdendo. Perdita. Nell’oscurità di un abitare revocato,   testimoniato con intensità dalla letteratura, ciò che agisce nel profondo è l’abolizione del suo darsi come stato interiore che si fa spazio, ordine, dimora. Interno e esterno, vicino e lontano,  lo stesso senso delle parole si confondono nei contorni deformati dell’ambiente ridivenuto non umano (ricorro allo psichiatra americano H. Searles): come a Matëra dello scrittore siberiano Vladimir Rasputin o nel Canada della Cripta dinverno  di Anne Michaels. 

Narrating landscapes of loss. Memory as ecology

What’s the meaning of losing a landscape? The villages submerged by a dam’s waterfall or by the words flow of a novel that narrates them, emblematically draw the border of a fragile – when not lost – landscape here intended as the extreme line of a contemporary spatial experience eternally moving towards a “beyond”. This is a flight from temporal landscapes and from their shapes destroyed by the crystalline pressure of the incontinent waters of a dam, or, more prosaically, by heavy depopulation and the resulting attack of vegetal labyrinths invading the disappearing villages. Losses. As literature attests, what acts in the darkness of a recalled inhabitation is the annulment of its own offering as an interior state that turns into space, order, home. Internal vs. external, close by vs. far away – even the meaning of words blurs into the deformed borders of a non human environment (see the American psychiatrist H. Searles), as shown for Matëra by the Siberian author Vladimir Rasputin or for the Canadian landscape depicted in The Winter Vault by Anne Michaels. 

 

SILVIA ULRICH
University of Turin

Riciclare Kafka

Partendo da un frammento di Kafka edito postumo dall'amico e curatore Max Brod, in cui lo scrittore praghese mette in relazione reciproca "cibo" e "rifiuto" (Abfall), l'intervento intende indagare il complesso rapporto di Kafka con l'Altro, sia esso il cibo, la costellazione familiare o l'universo femminile, ma sempre mediato dalla scrittura, con cui egli ebbe un rapporto difficile e controverso, addirittura "bulimico". In particolare, si prenderanno in considerazione alcuni frammenti come testimonianza di una riflessione ecocritica ante-litteram, per poi mostrare alcuni tentativi di riciclo/riuso del materiale intellettuale, che Kafka stesso considerava "di scarto", ad opera di lettori contemporanei. 

Recycling Kafka

Moving from a Kafka’s fragment posthumously published by his friend and editor Max Brod where the writer highlights the interrelationship between “food” and “waste” (Abfall), I will explore the complex relation between Kafka and the Other  as represented by food, by the author’s family or the feminine universe. In this way, I will show his complicated, even “bulimic,” relation with writing. I will then analyze some fragments as proofs of an ecocritical thought that was ahead of its time, together with some examples of intellectual productions (defined by Kafka himself as “waste materials”) that contemporary readers have tried to recycle/reuse.

 

HUBERT ZAPF
Augsburg University, Germany

Literature and Cultural Ecology

Cultural ecology is a new direction in recent ecocriticism and the environmental humanities that has gained considerable visibility in recent ecological thought. Between an anthropocentric cultural studies perspective, in which nature is dematerialized into a discursive human construct, and a radical ecocentrism, in which cultural processes are basically subsumed under naturalist assumptions, cultural ecology looks at the interaction and living interrelationship between culture and nature, without reducing one to the other. Literature is a cultural form in which this living interrelationship is explored in specifically productive ways. This is not merely a question of thematic orientation or content but of the aesthetic processes staged in imaginative texts, which in this sense function like an ecological force within the larger system of cultural discourses. Literature is described as a transformative force in language and discourse, which combines civilizational critique with cultural self-renewal in ways that turn literary texts into forms of sustainable textuality.
The keynote lecture will sketch the main assumptions and theoretical premises of a cultural ecology of literature, position it within the field of contemporary ecocriticism and the environmental humanities, and discuss its implications for literary studies and the interpretation of texts.

La letteratura e l'ecologia culturale

L'ecologia culturale rappresenta una nuova direzione dell'ecocritica e delle environmental humanities, che sta conquistando una visibilità crescente all'interno del pensiero ecologico. A metà strada tra la prospettiva degli studi culturali antropocentrici, in cui la natura perde materialità e diventa solo un costrutto discorsivo umano, e quella ecocritica radicale, in cui i processi culturali sono considerati esclusivamente come derivati da assunti naturalistici, l'ecologia culturale guarda all'interazione e alla viva interrelazione tra cultura e natura, senza ridurre l’una all'altra. La letteratura, in particolare, è una delle forme culturali in cui questa interrelazione può essere esplorata in modo più efficace. Non si tratta soltanto di prendere in considerazione un certo orientamento tematico o certi contenuti, bensì di analizzare soprattutto i procedimenti estetici con cui si costruiscono i testi di fantasia, che in questo senso si comportano come una forza ecologica all'interno del sistema più ampio dei discorsi culturali. La letteratura può essere descritta allora come una forza trasformatrice del linguaggio e del ragionamento, combinando la critica della civiltà con una sorta di auto-rinnovamento culturale e trasformando i testi letterari in forme di testualità sostenibile.
L'intervento renderà conto delle principali posizioni e dei presupposti teorici dell’ecologia culturale della letteratura, collocandoli all'interno del panorama dell'ecocritica e delle environmental humanities contemporanee e discutendo le sue implicazioni sugli studi letterari e sull'interpretazione dei testi.

 

 

Le traduzioni sono a cura di Leonardo Nolé

 

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